Epistola
In prosa volea cantar parole
Il genio mio, ma poi mi usciro
Questi versi. Amico caro
Da un anno o poco men ci conosciamo
E assai novelle avremo a raccontar
Pei piccoli figli nostri
(se mai natura accetti di donarli
a noi, e mai io credo).
Debbo dirti che tu sei
Tra color che a me s’avvicinaro
Dell’argentea medaglia il vincitore:
ti sorpassò l’angel sublime
che il cuore mi rapì
(or son quattro mesi);
e dietro ti sta la dolce
cara ch’accettò me tutto
al dì la del pregiudizio.
Debbo dirti grazie assai,
chè se a pugnar
non fossimo in campo scesi,
mai avrei creato
più dolci e carme supremo
(solo un altro fu si
amato da scriver lui
immortali versi,
che ancor tu non leggesti).
Debbo dirti che invidia
Provo per te e tua libertade,
che il tuo sogno d’amor
è tanto realizzato e bello
che tra de’ beati la rosa
ti pongo in cima e solo.
Perché si gran dolore il cor m’affligge?
Perché è il mondo sì crudel?
So che non son solo,
e spero: spero di vederti
un dì, felice e senza mali,
io con l’angel mio e tu col tuo,
e discorrer contenti ed allegri
in riva al mare, al chiaror della luna.
Ave atque vale, sempre Marci tui.