da Zoppola di tutto un po'

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giovedì, giugno 26, 2008

eccomi finalmente con uno nuovo.....interessante!


Tratto da Avvenire del 24 Dic. 2000 (Nr. 37 Anno IV)
di Stefano Varnavà

Egregio Signor Mimmo Muolo,
ho letto il suo articolo su NOI-Avvenire del 24 Dic. 2000 (Nr. 37 Anno IV).
Sono contento di apprendere che sono usciti altri 4 canti per la celebrazione del Matrimonio Cristiano Romano Giubilare (canti eseguiti davanti al Papa! quindi con tanto di imprimatur ufficiale! Del resto Mons. Giuseppe Diliberto ha il grande merito, e anche vantaggio, di essere il direttore del Coro della Cappella Sistina).
Non sono d’accordo con l’affermazione di don Antonio Parisi, responsabile nazionale della musica, a proposito del Repertorio nazionale di canti per la liturgia (ed. CEI): "Semplicemente abbiamo dovuto prendere atto della mancanza di brani adatti" – per il matrimonio s’intende.
Ma don Antonio ha fatto qualche ricerca presso le Case editoriali che non siano esclusivamente le Edizioni Paoline e la Carrara? Si sarebbe accorto ad esempio che la SAT di Verona ha pubblicato, per il rito del matrimonio, un fascicolo con diversi brani molto validi (a mio parere) del M° Golin. O si sarebbe accorto ad esempio che Rugginenti Editore, nel fascicolo "Trionferemo Trionferemo" (già del 1978), oltre al canto "Passeranno i cieli" (che sappiamo essere eseguito anche nelle chiese romane), presenta ben 4 canti per il rito del Matrimonio: precisamente 3 canti che non si possono affatto considerare canzonette, e una trascrizione dell’Ave Maria di Schubert con un testo e un accompagnamento organistico sicuramente consoni al rito.
(N.B. : il "melodico" non è necessariamente antitetico al "sacro", e il sacro non è necessariamente "antimelodico", come il "polifonico" non è necessariamente antimelodico, perché la melodia è quasi sempre del primo coro o, meno evidenziata, dell’insieme delle voci stesse che portano avanti una melodia armonica.)
Altro esempio la Casa Musicale ECO, presso la quale don Sequeri ha pubblicato due bei canti per il giorno del matrimonio.
Per non parlare degli autori: sono stati interpellati gli autori che di solito producono musica sacra? O quelli che producono musica sacra sono solo quelli che stanno a Roma?
Per quel che ne so io, Gian Nicola Vessia (don Antonio lo conosce?) ha scritto due pezzi molto belli (a tre voci) per il Matrimonio.
E lo stesso vale per molti altri: Davide Tepasso, Guido Meregalli, Edio Sarini, Duilio Preti, don Vincenzo di Mauro, Mons. Filippo Strofaldi, Marina Valmaggi. Il lavoro dei compiplatori è fatto anche di ricerca, e ricerca a tappeto per poter conoscere ogni prodotto, fosse anche di un autore al momento sconosciuto.
Non me ne abbia don Antonio, ma "quel che ce vo’ ce vo’", dicono sempre a Roma.
Storicamente parlando il rito del matrimonio una volta era a se stante, ossia svincolato dalla S. Messa. Dopo il Concilio, tra le tante innovazioni – più o meno indovinate –fu conglobato nella S. Messa.
A questo punto don Antonio Parisi giustamente mette in evidenza che prevale la liturgia eucaristica, per cui i canti devono sottolineare ed esprimere i singoli momenti del rito eucaristico.
Ora, fortunatamente, si tende a tornare all’antico e cioè: Matrimonio al di fuori della Santa Messa, motivo per cui il discorso dei canti durante il Rito – che è un rito sacramentale a se stante, quindi non necessariamente legato alla liturgia eucaristica – dovrà essere considerato anche sotto questa eventualità.
A mio parere sarebbe giusto che ogni Sacramento – Battesimo o Matrimonio – abbia una sua propria configurazione e collocazione. Lo stesso vale per i funerali e le novene. Che cosa vuol dire conglobare nel rito eucaristico la tradizionale Novena dell’Immacolata, del Natale, alla Madonna nel mese di maggio e ottobre? In realtà perdono la loro fisionomia e catechesi molto importante, che è decisamente diversa dalla devozione e memoria eucaristica.
Quindi per ogni tipologia di liturgia o paraliturgia canti appropriati, e non canti multiuso.
Continuando con le osservazioni doverose, vorrei mettere qualche puntino sulle i:
A. - Il brano Dolce sentire, che faceva parte della colonna del film di F. Zeffirelli Fratello Sole, Sorella Luna, non proviene direttamente dalla musica leggera, bensì è un canto tratto dal Laudario di Cortona (1300), preso di sana pianta dal M° Ortolani che se lo è attribuito. In un contenzioso con la RCA infatti, Ortolani non ha vinto la causa perché gli esperti musicali hanno dimostrato che la melodia non era sua ma che proveniva per l’appunto dal Laudario di Cortona. Dolce sentire come testo poi, è l’ultima strofa aggiunta da Claudio Baglioni che si è così attribuite le altre due strofe, che sono invece notoriomente parole di S. Francesco (un paroliere di musica leggera anche lui?…)
Ma torniamo al testo dell’articolo.
B. - Con buona pace, o buona fede, di noi cristiani, il Cantico dei Cantici, "il libro nuziale per eccellenza" (a detta sua, Sig. Muolo), è in realtà tutto un intreccio di testi bellissimi composto con lo scopo di indurre una giovane fanciulla a diventare una delle tante "concubine" di Salomone.
Bella situazione, vero? E questi testi, purtroppo, vengono anche usati per parlare nientemeno che della Madonna, che San Luca definisce "Vergine e sposa" (non concubina) di un uomo chiamato Giuseppe. Un bel pasticcio!
C. - Procediamo con l’esame del suo articolo: il testo di S. Paolo (inserito nel ritornello dell’Offertorio). Perché il paroliere – già che c’era – non ha messo anche la prosecuzione del testo della lettera agli Efesini, qui di seguito riportata: "Le donne siano sottomesse ai loro mariti come al Signore, perché il marito è capo della donna come Cristo è capo della Chiesa, Egli, salvatore del corpo. Ora come la chiesa è sottoposta a Cristo, così le donne devono stare sottoposte in tutto ai loro mariti (Efes. 5,22 et eg.)".
N.B. A questo proposito va a ruba il manuale best seller di Lausa Doyle dal titolo "The Surrendered Wife", che insegna alle donne come diventare sottomesse. Può servire al caso.
D. - A proposito poi di musica religiosa, penso che la religiosità di un canto debba emergere dal suo contenuto letterario e musicale, a prescindere dal contesto in cui è stato posto, sia esso un’opera teatrale, una sinfonia, o addirittura un musical. Il fatto di essere cantato in chiesa o in teatro non costituisce di per sé la religiosità o meno di un brano. Trovo molta più religiosità ad esempio nell’Ave Maria dell’Otello di Verdi (testo e accompagnamento) che nello stesso Panis Angeliccus di Franck. Vorrei riportare perciò un episodio della vita di G. Verdi, estremamente significativo al riguardo, tratto da "L’umorismo di Giuseppe Verdi" (a cura di Stefano Varnavà)
Una mattina, nell’inverno del 1888, Verdi si trovava nella Chiesa dell’Annunziata, a Genova, per assistere alle nozze di una nipote del suo caro amico ingegnere De Amicis, suo amministratore e inseparabile amico. Durante il rito nuziale fu eseguita della musica molto dolce con accompagnamento di violini. Ad un certo momento una soprano iniziò un’Ave Maria dolcissima.
Verdi l’ascoltò ammirato e poi disse all’amico:
- Mi pare di conoscere quella musica!
Altro che conoscerla, esclamò De Amicis, l’hai fatta tu ed è l’Ave Maria dell’Otello!.
E ancora, perché altrettanto significativo, anche questo episodio, tratto dalla stessa raccolta :
Il Maestro Luigi Mancinelli fu il più fervido sostenitore della musica di Wagner. Nell’agosto del 1880 Wagner, venendo da Napoli per ritornare in Baviera, si era fermato a Perugia per salutare il Maestro Mancinelli. Questi, che stava concertando la Messa da Requiem di Verdi, invitò Wagner ad assistere alle prove. Ma questi si schernì dicendo:
- Ma la Messa da Requiem non è musica religiosa!
Il Maestro Mancinelli lo riferì un giorno a Verdi che sorrise e poi con tono deciso disse:
- Non è musica religiosa!! Ma che cosa si intende per tale musica? Quella noiosa e piatta dei tedeschi?
Intervenne la Signora Mancinelli:
- Maestro, perché quegli stranieri non trovano religiosa la Sua musica?
- Perché, rispose tranquillo Verdi, si confonde il genere noioso con quello religioso. Quale soggetto più passionale, nella Messa, del Credo, dove in poche righe ci descrivono la nascita, la vita, l’agonia, la morte e la resurrezione di un Dio? E secondo voi ci vorrebbe una musica mite? O peggio... noiosa?
Per chiudere, mi sembra interessante riportare anche questo articolo sulla musica cosiddetta "sacra", nel quale E. Berlioz dà un suo tagliente giudizio sul "mito" di Palestrina:



"Berlioz trova modo di inanellare qualche considerazione a proposito dello stato dell’arte vocale in Italia, e della musica sacra in genere. La pointe dell’ironia è dedicata al mito palestriniano e all’aura di perfezione musicale e mistica in cui è avvolta la vocalità sacra coltivata dalla celebre Cappella Sistina. Dice dunque Berlioz:"… quell‘armonia pura e calma immerge certamente in un fantasticare non privo di fascino. Ma questo fascino è insito nello stile, è proprio all’armonia stessa, non ne è causa certo il preteso genio dei compositori, se poi si possa mai dare il nome di compositori a dei musicisti che passan la vita a compilare delle successioni di accordi del genere di questa che fa parte degli Improperia di Palestrina (vedi illustrazione). In queste salmodie a quattro parti, ove melodia e ritmo non sono impiegati affatto, e delle quali l‘armonia si limita all'impiego degli accordi perfetti inframmezzati da qualche ritardo, si può pure ammettere che il gusto e una certa qual scienza abbiano guidato il musicista che le scrisse; ma il Genio! Via, stiamo scherzando! Inoltre, coloro che credono ancora sinceramente che Palestrina componesse a questo modo di proposito sui testi sacri, mosso solo dall’intenzione di avvicinarsi il più possibile a una pia idealità, s’ingannano stranamente. Senza dubbio essi non conoscono i suoi madrigali, le cui frivole e galanti parole sono da lui congiunte a un genere di musica del tutto simile a quella con la quale rivestiva le parole sacre (… ). Non sapeva fare altra musica, ecco la verità: ed era tanto lontano dall’inseguire un celeste ideale, che nei suoi scritti si ritrovano una montagna di quelle specie di logogrifi che i contrappuntisti che lo precedettero avevan messo in voga e di cui egli passa per essere stato l’ispirato antagonista (…) Ora, in che cosa queste difficoltà di contrappunto, per quanto abilmente superate le si supponga, contribuiscono all’espressione del sentimento religioso? In cosa questa prova di pazienza del tessitore di accordi annuncia in lui una semplice preoccupazione per il vero oggetto del suo lavoro? (H. Berlioz, Memorie, cit., pp. 449-450).
A risentirci
don Stefano Varnavà